UNA CHIESA
CON UNA LUNGA STORIA
a cura di ANTONIETTA PORRO
La Chiesa parrocchiale di S. Giulio in Barlassina ha una lunga storia.
Il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani – un manoscritto del XIII secolo nel quale sono elencate le chiese e gli altari della diocesi milanese
dà notizia dell’esistenza in Barlassina, sin da quell’epoca, di una Chiesa dedicata a S. Giulio d’Orta («In Barnaxina ecclesia sancti Iulii»): la tradizione dice che la sua edificazione sia da attribuire direttamente al santo, vissuto nel IV secolo d.C. e costruttore di molte chiese.
Notizie più certe sulla sua struttura e sulla storia della parrocchia si hanno però soprattutto a partire dal XVI secolo, e in particolare dall’età di S. Carlo Borromeo: da documenti dell’epoca, connessi con le visite pastorali del 1567 e 1569, possiamo ricostruire le dimensioni e la struttura della chiesa, che aveva tre campate, le pareti di mattone non intonacato, il tetto ligneo con tegole a vista, due cappelle (una dedicata a S. Antonio Abate e una alla Madonna Assunta). Intorno alla chiesa vi era, come usava a quei tempi, il piccolo cimitero della comunità.
Fu S. Carlo, dopo la sua visita pastorale, a sollecitare lavori di ristrutturazione della piccola chiesa, (e anche del circostante cimitero), lavori che – fra rallentamenti e interruzioni – durarono molti decenni (sappiamo che l’architetto Ercole Turati vi lavorò tra il 1613 e il 1623) e portarono, nella prima metà del XVII secolo, ad un edificio assai simile, nella struttura, alla attuale parte antica della chiesa (quella posteriore), con sei cappelle laterali, la più notevole delle quali è, guardando dal fondo della chiesa, la terza sulla destra, dedicata alla Madonna dell’Aiuto e contenente affreschi della scuola di Bernardino Luini.
Il successivo ampliamento avvenne nel 1892 e comportò l’aggiunta di un “braccio” e una nuova abside nella parte anteriore, così che la pianta della chiesa divenne “a croce latina”. Nel 1905 fu alzato il piccolo campanile, corredato di cinque campane (sostituite poi, dopo essere state confiscate e fuse per esigenze belliche, nel 1946).
La ristrutturazione più recente, che diede alla chiesa la fisionomia attuale, fu quella che avvenne tra il 1931 e il 1933. Ad essa sarà dedicato uno spazio maggiore nelle pagine seguenti: basti per ora ricordare che in questa circostanza la parte anteriore della chiesa fu ampliata con la costruzione di una struttura ottagonale sormontata da una cupola; anche la struttura e l’altezza del campanile vennero modificati.
Nel 1950 l’Arciprete don Francesco Gattinoni affidò all’Istituto Beato Angelico di Milano, e in particolare al maestro Ernesto Bergagna, il compito di decorare l’abside del nuovo edificio, nella quale fu rappresentato un Cristo Pantocrator benedicente, circondato dai cori angelici.
Nel 1981 l’Arciprete don Dante Crippa diede incarico al pittore astrattista barlassinese Valentino Vago di affrescare la parte ottagonale della chiesa. Don Dante, in anni più recenti, fece altresì realizzare i nuovi portali bronzei.
Numerosi interventi, connessi anche con la valorizzazione delle innovazioni liturgiche introdotte dal Concilio Vaticano II, aggiunsero alla chiesa – negli anni in cui ne furono parroci don Antonio Molteni, don Dante Crippa, don Sandro Chiesa – elementi di notevole rilievo artistico: tra gli altri, il nuovo altar maggiore, in marmo bianco, con un bassorilievo che rappresenta l’Ultima cena; il fonte battesimale bronzeo, opera dello scultore barlassinese Claudio Borghi, sulla sinistra dell’altar maggiore, dietro l’ambone; i portali bronzei, realizzati dallo scultore vittuonese Carlo Chiodini; la singolare Via crucis lignea collocata in fondo alla chiesa, opera del barlassinese cav. Luigi Legnani (donata alla parrocchia da Mons. Gervasio Gestori, che l’aveva a sua volta ricevuta in dono dalla famiglia Legnani), nella quale le quattordici stazioni sono interpretate da altrettante intense espressioni del volto di Cristo. Nelle festività liturgiche maggiori (Natale, Pasqua) vengono occasionalmente esposte sculture lignee di Giuseppe Prato (cui si deve anche la realizzazione della statua della Madonna di Fatima nella cappellina posta a destra dell’altar maggiore), a testimonianza anche di una significativa valorizzazione delle tradizionali attività di lavorazione artistica del legno in Barlassina.
La Chiesa all'inizio del '900
Inizio '900: l'abside
1905: lavori per l'innalzamento del campanile
Dopo il 1905
Vedute della Chiesa negli anni '20
La struttura attuale della chiesa è chiaramente divisa in due parti.
La parte antica è ad una sola navata, nella quale si aprono sei cappelle. Sul lato sinistro, a partire dal fondo: la cappella del Battistero; la cappella di S. Giulio; la cappella di S. Anna (vi sono raffigurati S. Anna e S. Gioacchino che accompagnano la vergine Maria). Sul lato destro, nella quale è conservato lo stendardo parrocchiale; la cappella del Sacro Cuore di Gesù; la cappella della Madonna dell’Aiuto.
Nella parte anteriore si allarga l’ampia struttura ottagonale, sul cui fondo si innesta una profonda abside, chiusa dall’altar maggiore e da un poderoso organo a canne. Davanti all’abside il nuovo altar maggiore, di marmo bianco, con un bassorilievo dell’Ultima cena. A sinistra dell’altare nuovo, dietro l’ambone, il nuovo fonte battesimale in rame, opera dello scultore barlassinese Claudio Borghi.
Nella parte destra dell’ottagono si trova la cappella di S. Giuseppe; a sinistra quella della Madonna della Consolazione, più nota a Barlassina come Madonna della Cintura e compatrona, insieme a S. Giulio, della Comunità parrocchiale (la festa patronale della Madonna della Cintura ricorre la seconda domenica di settembre, mentre quella di S. Giulio il 31 gennaio).
L'AMPLIAMENTO DEL 1933
La Chiesa parrocchiale di Barlassina ha subìto nel tempo diverse modifiche e ristrutturazioni, che l’hanno condotta ad assumere, da piccola chiesa di campagna quale possiamo immaginare fosse nei secoli passati, una struttura architettonica di tutto rispetto, dotata di una certa grandiosità, specialmente grazie alla porzione più recente, quella anteriore, articolata in diversi corpi innestati sull’ampio ottagono sormontato da un’alta cupola che ne costituisce il nucleo portante.
Diverse altre modifiche furono introdotte alla struttura esterna ed interna della Chiesa anche in anni più vicini a noi, ma certo la più radicale fu proprio quella che, negli anni ’30 del secolo scorso, innestò sull’antica Chiesa, che ospita gli affreschi di scuola luiniana, l’ottagono, la cupola e le annesse cappelle e innalzò ulteriormente il campanile, che già era stato modificato in altezza nel 1905.
Il nuovo edificio fu infatti consacrato e inaugurato, in occasione della Festa Patronale, il 27 agosto 1933.
Ma la storia di questo ampliamento comincia diversi anni addietro, con un progetto elaborato ancora nel 1925 dall’Ing. Giovanni M. Maggi e mai realizzato. Sarebbe stato lo stesso Maggi, alcuni anni più tardi, a rivedere sostanzialmente il suo progetto e a proporne uno nuovo, che sarebbe stato coronato dall’effettivo compimento.
Queste informazioni ci sono suggerite dal principale “testimone” a nostra disposizione, cioè il Chronicon parrocchiale: si tratta di un registro, redatto dal Parroco, nel quale sono annotati gli avvenimenti più rilevanti che riguardano la vita della comunità. Nell’Archivio parrocchiale è presente un Chronicon che copre un arco temporale abbastanza consistente, dalla fine del XIX secolo alla metà del XX, divenendo sempre più succinto ed essenziale nella narrazione, poiché col tempo il Bollettino parrocchiale, a stampa, venne a integrarlo, fino ad assumerne radicalmente le funzioni. I Parroci vi annotano di proprio pugno i fatti più salienti: è bello indovinare la successione dei Pastori che hanno guidato la nostra comunità attraverso il succedersi delle diverse “mani”; si ha la percezione molto concreta del fatto che varie e differenti sono le personalità dei sacerdoti, ma una sola è la Chiesa che è loro affidata.
E’ a don Francesco Gattinoni che tocca descrivere le diverse fasi dei progetti e dei lavori per l’ampliamento, e soprattutto la partecipazione attiva e l’interesse costante dei fedeli.
Nelle pagine seguenti riporteremo i passi del Chronicon che riguardano l’intero percorso di ricostruzione, fino alla consacrazione e anche negli anni immediatamente successivi; qui vorremmo proporre la sottolineatura di alcuni dettagli, presenti nel Chronicon, che non riguardano espressamente i fatti architettonici, ma che meritano di essere menzionati nel momento in cui si commemora un evento come l’edificazione di una Chiesa.
Innanzitutto, la necessità dell’ampliamento derivò dall’incremento della popolazione, tale da generare una urgenza, messa in luce anche dai Padri Oblati di Rho, predicatori delle SS. Missioni in parrocchia alla fine del 1931. Prima di loro, nel corso della visita pastorale del dicembre 1930, lo stesso Arcivescovo Card. Ildefonso Schuster aveva sollecitato l’opera di ampliamento «avendone Lui stesso esperimentato il grande bisogno». Barlassina contava allora circa 2500 abitanti, ma la frequenza alla Chiesa era molto elevata, se il Chronicon riferisce questa notizia, che, per quanto relativa ad una circostanza straordinaria come la visita pastorale dell’Arcivescovo, non può non impressionare: «Il mattino per tempo – ore 5.30 – sua Eminenza celebra la S.Messa e distribuisce la S. Comunione a n. 1350 fedeli». La stragrande maggioranza del paese, se si tiene conto dei bambini più piccoli, esclusi dal sacramento.
Un altro particolare riguarda le spese sostenute per l’impresa. Nella storia la costruzione dei grandi monumenti, soprattutto religiosi, fu resa possibile ora da illustri mecenati ora dal concorso popolare. Il Chronicon attesta in più circostanze che il popolo di Barlassina si fece volentieri carico di una parte almeno delle spese, attraverso una sorta di sottoscrizione (quella che don Francesco nel Chronicon chiama “questua”), cui parteciparono le famiglie della comunità, e poi, a lavori avvenuti, mediante una offerta natalizia (il “dono natalizio Pro Chiesa”), cui la popolazione partecipò, per usare le parole di don Francesco, «si può dire nella totalità».
Una Chiesa per la comunità, una comunità per la sua Chiesa.
Non è dunque formale quanto don Carlo Borghi suggerì di scrivere sull’iscrizione che ancora oggi campeggia nella nostra Chiesa a ricordare l’opera di ampliamento del 1933 (ne riportiamo immagine, testo e traduzione più avanti in queste pagine): «Templum hoc … plebs Dei extruxit». Fu il popolo di Dio a innalzare questa Chiesa.
Notizie più ampie e materiale illustrativo sulla storia della Chiesa di S. Giulio si trovano nei volumi Barlassina. Un poco di … storia, cronaca e tradizione popolare, testi di Pinuccia Sala, Barlassina 19962, pp. 25-44; Barlassina, un secolo di storia (1900-2000), a cura di Sabina Scaburri, Barlassina 2002, pp. 97-103
DAL CHRONICON PARROCCHIALE
1931 Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo, tra le varie esortazioni fatte alla popolazione di Barlassina, ha animato e Clero e popolo ad intrapprendere quanto prima i lavori per l’ampliamento della Chiesa avendone Lui stesso esperimentato il grande bisogno. La parola del Pastore fu docilmente ascoltata da’ Barlassinesi. Fu ripreso in esame il progetto di ampliamento già formulato dall’Ing. Maggi fino dal 1925. Si organizzò una questua presso le varie famiglie da farsi settimanalmente da vari bambini e bambine mediante offerta di una lira in media per famiglia. Questo sistema fu bene accolto dalla popolazione.
Nel dicembre 1930 si era svolta la visita pastorale del Cardinale Arcivescovo, S.E. Ildefonso Schuster: le note dell’Arciprete relative al 1931 si aprono quindi con alcune osservazioni conseguenti a questo avvenimento.
Come speciale ricordo e viva raccomandazione i R.R. Missionari hanno lasciato di intrapprendere quanto prima l’opera grandiosa dell’ampliamento della Chiesa. L’Ing. Maggi ha presentato un progetto che è assai migliore di quello presentato prima. Questo venne approvato dalla Commissione Arcivescovile per la conservazione dei monumenti.
L’anno precedente si era chiuso con le S. Missioni predicate dai Padri Oblati di Rho.
Il progetto approvato e attuato nel 1933
Festa di S. Giulio: benedizione della Prima Pietra
Dopo paziente ed accurata preparazione si arrivò alla festa del nostro S. Patrono Giulio Prete, festa destinata per la posa della prima pietra per l’ampliamento della Chiesa. (…) Compì la benedizione della pietra Monsignor Giacinto Tredici, Vicario generale della Curia diocesana, il quale conserva per la nostra parrocchia particolare affezione avendo trascorsi qui gli anni della sua fanciullezza.
L’opera dell’ampliamento della Chiesa fu assegnata al Capomastro Lorenzo Pizzi di Cogliate S. Dalmazio e ciò in seguito a concorso al quale avevano partecipato parecchi tra i quali il Cap(omastro) Francesco Bernasconi, Ing. Terragni di Camnago, Ravetta e Fagnani di Milano, Marco Scotti di Milano. Il Sig. Lorenzo Pizzi ha fatto lo sconto maggiore (£ 7.73%) sui prezzi fissati dal Sig. Ingegnere Maggi.
I lavori di demolizione della vecchia Canonica avevano avuto inizio il giorno 22 Gennaio e per il 31 tutto era disposto per la posa della prima pietra, la quale fu collocata là dove doveva sorgere l’altare maggiore della Chiesa ampliata.
Fu convenuto che la demolizione fosse a carico del costruttore che avrà la proprietà del materiale ricavato dalla demolizione stessa. il tempo fu propizio e si poté procedere ai lavori in discreta celerità. Fu necessità per l’opera di ampliamento procedere alla demolizione anche della casa
Monsignor Giacinto Tredici (1880-1964), filosofo e teologo, fu vicario generale della diocesi di Milano dal 1930 al dicembre 1933, quando divenne vescovo di Brescia.
colonica di proprietà del Beneficio e ciò si poté effettuare senza gravi difficoltà perché fu facile trovare una nuova abitazione per gli inquilini (…)
Agosto: La costruzione della nuova Chiesa per la sua parte rustica ormai è al termine. Si sta assestando le capriate, tutto ferro, fornite dalla Ditta Saporiti di Tradate.
(…)
Ottobre, 6: Sua Eminenza il Card. Arcivescovo, trovandosi nel vicino Seminario di S.Pietro, dovendosi recare a Meda passa per Barlassina visitando i lavori della nuova Chiesa e congratulavasi coi Parrocchiani.
(…)
1933
Luglio: Fervono i lavori di finimento della nostra Chiesa Arcipretale. E’ stato stabilito che il 24 agosto, in occasione della festa patronale, la Chiesa verrà consacrata per le mani di Sua Eminenza il Card. Arcivescovo. Frattanto le funzioni religiose, che più non si possono compiere nella vecchia chiesa in demolizione, si svolgono presso l’Oratorio Maschile, dove si celebra nell’aperto cortile.
Nella demolizione della vecchia Chiesa viene alla luce la statua di S. Giulio Prete che era stata immurata nel 1892 per l’ampliamento di allora. Il rinvenimento della statua fa sorgere grande interesse fra i parrocchiani e con grande compiacimento viene visitata dagli anziani che la ricordavano esposta un tempo alla venerazione nella Chiesa parrocchiale.
Il Chronicon: note relative all'agosto 1933
Agosto, 26-27-28: Grandiosa festa per la consacrazione della Chiesa.(…) La consacrazione è stata fatta da S.E. il Cardinal Arcivescovo (Vedi lapide in Chiesa con dicitura dettata dal M. Rev. Sac. Carlo Borghi)
(…)
Dicembre: Quest’anno si è introdotta l’iniziativa del dono natalizio Pro Chiesa. L’iniziativa incontrò il favore della popolazione che vi corrispose si può dire nella totalità.
1934
Gennaio: (…) Festa patronale. (…) Alla sera faceva visita a Barlassina l’Ill.mo Monsignor Giacinto Tredici, già Vicario Generale della Diocesi ed ora eletto Vescovo di Brescia. (…) Visitò anche la Chiesa, lodandone la bella costruzione e grandiosità.
1935
Marzo: Si procede al trasporto del Battistero, dal posto primitivo, umido e oscuro, al luogo dove fu già un tempo l’Altare di S. Gaetano, e quindi la cerimonia del Fonte Battesimale, fatta il Sabbato Santo, assume quest’anno particolare importanza.
(…)
Giugno: (…) In questi giorni sono stati intrappresi i lavori per il trasporto dei due altari laterali nella parte nuova della Chiesa ampliata. Da prima quello della cappella della B(eata) V(ergine) della Cintura. I lavori sono stati eseguiti dal Sig. Capomastro Pizzi L. La parte marmorea fu curata dalla Ditta S.O.M.A. di Meda. L’altare già dedicato a S. Gaetano (che era stato fatto costruire nel 1677 dai Conti Sig. Pietro Francesco e Capitano Alessandro Porro, passato poi alla Famiglia Rezzonico, fu già di padronato di quelle nobili famiglie fino al 1755, nel qual anno, come si rileva da regolare Scrittura, cessò il padronato) dietro autorizzazione di S. Eminenza il Card. Arcivescovo fu dedicato a S. Giuseppe Sposo della B(eata) V(ergine).
(…)
Agosto: Ormai i lavori per il trasporto dei due altari laterali sono al termine ed anche i due ingressi laterali sono ultimati. In occasione della Festa Patronale s’è fatto l’inaugurazione dei due altari ampliati e messi a nuovo.
QUESTA CHIESA
DEDICATA A DIO ONNIPOTENTE E A S. GIULIO
RINNOVATA LA FEDE DEI PADRI
IL POPOLO DI DIO INNALZÒ
E FECE AMPLIARE
A PROPRIE SPESE.
IL CARDINALE ILDEFONSO SCHUSTER ARCIVESCOVO
IL 27 AGOSTO DELL’ANNO SANTO 1933
LA CONSACRÒ.
L'ISCRIZIONE COMMEMORATIVA
Accanto all’ingresso di destra della Chiesa, sulla sinistra per chi entri, si trova un’epigrafe commemorativa della consacrazione dell’edificio rinnovato. Come si legge nel Chronicon, il testo dell’iscrizione fu dettato dal sacerdote barlassinese don Carlo Borghi.
Gli affreschi di Valentino Vago – La Chiesa di S. Giulio è la prima di diverse chiese affrescate, a partire dal 1981, da Valentino Vago. La scelta dell’artista di una colorazione azzurro cielo viene giustificata dallo stesso Vago con la suggestione che la Chiesa di Barlassina ha sempre suscitato in lui: un’«aspirazione ad evadere dalla terra e dalle sue impurità … stimolati dal crescendo della luce verso l’alto». L’azzurro, con le sue sfumature e il progressivo tendere al giallo oro del punto più alto della cupola, rappresenta dunque l’infinito al quale l’uomo aspira; ma da questo infinito emergono, nelle stesse tonalità dell’azzurro, diverse scene della storia della salvezza, attinte dai dipinti di artisti famosi e reinterpretate da Vago attraverso l’inserimento nel nuovo contesto.
Nell’abside campeggia l’immagine della Trasfigurazione di Cristo; dalle pareti dell’ottagono pendono i 14 quadri della Via Crucis di Vago, nei quali il colore azzurro che si intensifica sempre più e l’alzarsi progressivo della linea dell’orizzonte fra terra e cielo seguono il cammino di Cristo verso la Croce.
La Cappella della Madonna dell’Aiuto contiene preziosissimi affreschi della scuola di Bernardino Luini (1481-1532).
L’immagine della Madonna in cathedra è collocata fra quelle di S. Giovanni Battista e S. Antonio Abate (sin.) e S. Martino e S.Vincenzo di Saragozza (destra). Sopra le portine laterali della cappella sono raffigurati S. Felice Porro (destra) e il Beato Giovanangelo Porro (sin.), quest’ultimo nativo di Barlassina (i suoi resti si venerano presso la Chiesa di S. Carlo al Corso, a Milano). Sui pilastri laterali sono rappresentati i quattro evangelisti (affresco del XVII sec.)
Nella parte antica della Chiesa, la terza cappella sul lato destro (per chi entra in chiesa) è quella dedicata alla Madonna dell’Aiuto. Completamente ricoperta di affreschi, contornati da stucchi del XVII secolo, la cappella vede compresenti pitture del XVI secolo e del XVII (quando la parte antica della chiesa venne, come si è detto sopra, completamente rifatta). Esaminiamo le immagini rappresentate negli affreschi:
– Sulla parete di fondo, al centro, si trova la Madonna dell’Aiuto, che nella tradizione dà il nome alla cappella . Si tratta di una Madonna in cathedra, cioè seduta sul trono, che tiene in braccio il Bambino Gesù benedicente. Se la santa Vergine occupa completamente la scena, è lo sguardo mite e umile di lei, che si posa sulla piccola mano benedicente del Bambino posto sulle sue ginocchia, a indicare il vero focus, il vero centro, anche geometrico, dell’intera immagine: è da quel Bambino che deriva l’aiuto del quale la Madonna si fa portatrice all’umanità. Ai lati due angeli sostengono le cortine che incorniciano l’immagine sacra.
– La Madonna in cathedra è sormontata da una lunetta, nella quale due angeli reggono una corona.
S. Giovanni Battista e S. Antonio Abate
S. Giovanni Battista (vestito di pelli, che addita l’Agnello) e S. Antonio Abate (raffigurato, secondo la tradizione, con un maiale ai suoi piedi), a sinistra .
S. Vincenzo e S. Martino
Del XVI secolo
Tutti gli affreschi sopra descritti, cioè tutti quelli che si trovano sulla parete di fondo della cappella, con la sola eccezione della lunetta sovrastante la Madonna, sono del XVI secolo e sono attribuiti a Bernardino Luini e alla sua scuola. Diversamente, il resto dell’ornamentazione pittorica della cappella è del XVII secolo, e deve essere messa in relazione con la ristrutturazione secentesca della chiesa.
Il Beato Giovan Angelo Porro
Sopra le portine laterali della cappella sono raffigurati il Beato Giovan Angelo Porro (a sinistra, nato a Barlassina nel 1451, appartenente all’ordine dei Servi di Maria; i suoi resti mortali si venerano presso la Chiesa di S. Carlo al Corso, a Milano)
S. Felice Porro
(A destra) Marginale, la sua connessione con Barlassina, e legata, probabilmente, alla famiglia Porro, che volle la cappella: Felice Porro nacque infatti a Cantalice, in provincia di Rieti, quasi certamente nel 1515; nel 1544 divenne Cappuccino, nei conventi di Tivoli, di Viterbo-Palanzana, di San Bonaventura in Roma. Fu beatificato nel 1615 e canonizzato nel 1712: presumibilmente era stato da poco proclamato beato al momento della realizzazione dell’affresco.
i quattro evangelisti
Sui pilastri laterali sono rappresentati i quattro evangelisti, accompagnati dai simboli che li contraddistinguono nella tradizione iconografica:
S. Matteo con l’Angelo; S. Giovanni con l’aquila; S. Marco col leone; S. Luca col bue
S. Marco col leone
S. Giovanni con l’aquila
S. Luca col bue
S. Matteo
La maggior parte delle immagini sacre raffigurate nella Cappella si giustifica da sé: la Santa Vergine, quattro tra i santi più venerati dalla tradizione popolare, gli evangelisti. Per la sua origine barlassinese, anche la presenza del beato Giovan Angelo Porro si comprende senza difficoltà. Meno facile da giustificare invece la figura di S. Felice Porro: come si spiega, a Barlassina, un santo – anzi, un beato, giacché sarebbe diventato santo solo nel 1712 – reatino, non così conosciuto da diventare destinatario di un culto locale? C’è una sola spiegazione: la nobile famiglia dei Porro, che a Barlassina aveva un ruolo particolare e alla chiesa dedicava spesso le proprie attenzioni e le proprie cure (sappiamo, per esempio, che nel Cinquecento esercitava il proprio patrocinio sulla cappella di S. Antonio Abate, nella chiesa parrocchiale), aveva voluto che trovassero luogo qui alcune figure di santi che portavano il suo stesso cognome. Fra’ Felice Porro era stato beatificato nel 1615, pochi anni prima che si completassero i lavori di ristrutturazione della chiesa e in particolare della cappella: forse la sua fama non arrivò alla gente di Barlassina, ma è probabile che sia giunta almeno all’interno della famiglia che portava il suo stesso cognome… Verrebbe anzi da pensare che proprio la presenza dei due santi abbia persuaso i Porro a non opporsi alla ristrutturazione della chiesa: come si è detto sopra, benché l’Arcivescovo S. Carlo Borromeo avesse da tempo indicato la necessità di provvedere all’ampliamento della chiesa, solo nella prima metà dei Seicento si concluse l’opera; se i lavori di cui c’era bisogno andarono così per le lunghe, ciò avvenne anche per gli interventi inizialmente ostativi dei Porro, che si vedevano intralciata dalla ristrutturazione della chiesa una strada che portava alla loro proprietà. Il patrocinio della famiglia alle opere della chiesa era certo notevole, ma, come accadeva in questi casi, portava con sé la presunta acquisizione di una serie di “diritti”. Alla fine però la situazione si sbloccò, forse anche perché, a quel che sembra, i Porro trovarono il modo di avere voce in capitolo nella edificazione della nuova cappella.
PER APPROFONDIRE
(a cura di A. Porro)
Se l’attribuzione a Bernardino Luini di buona parte degli affreschi che ornano le pareti della Cappella è ormai universalmente riconosciuta, le vicende attinenti alla loro collocazione nella chiesa parrocchiale di Barlassina sono tutt’altro che sicure. Il problema principale deriva dalla necessità di stabilire in quale momento gli affreschi del Luini entrarono a far parte della nostra chiesa. Se la cappella fu realizzata nella sua struttura attuale nella prima metà del Seicento, congiuntamente all’ampliamento della chiesa, quando e come vi sono arrivati gli affreschi del Luini, datati con sicurezza al 1527, grazie all’indicazione MDXXVII DIE VII MAYI (=7 maggio 1527) ancora visibile nella cornice superiore dell’immagine della Vergine? Dove si trovavano gli affreschi prima della ristrutturazione secentesca della chiesa?
Diverse sono le ipotesi formulate al riguardo:
1) La più diffusa ritiene si trovassero originariamente altrove, come anche i recenti restauri sembrano confermare, per via del supporto che doveva averne accompagnato lo spostamento, ancora parzialmente visibile (sotto l’affresco ci sono mattoni pieni messi orizzontalmente, differentemente da quanto accade in tutto il resto della chiesa, come se quella porzione di muro provenisse da un altro edificio). Ma dove esattamente? Anche in questo caso la risposta non è univoca.
1.a) Qualcuno ritiene si trovassero nella chiesa, posta nella zona di Farga, di S. Maria in Cattedra;
1.b) Altri, e anche la tradizione popolare, sostengono che l’affresco fosse originariamente collocato a Barlassina, nella chiesa dedicata a S. Maria della Consolazione, presente nell’edificio che un tempo ospitava probabilmente una comunità degli Umiliati (un ordine religioso soppresso, per ordine di Carlo Borromeo, nella seconda metà del XVI sec., in quanto in odore di eresia). Questo edificio trovava posto nell’attuale Cascina S. Maria, ove sono ancora visibili colonne e tracce dell’antica costruzione.
2) Una tesi più recente sostiene che gli affreschi non siano mai stati altrove, ma siano stati realizzati direttamente nella chiesa di S. Giulio, poiché nei documenti relativi alla visita pastorale del 1569 si dice che nella cappella di S. Antonio abate erano dipinte figure di Santi: quelle di S. Bernardo, S. Luguzzone (delle cui immagini oggi non vi è traccia nella nostra chiesa) e degli stessi santi che oggi compaiono a fianco della Madonna dell’Aiuto nell’affresco del Luini.
Forse però si potrebbe pensare che queste immagini di santi particolarmente venerati nelle nostre terre siano state commissionate a chi ornò la cappella di S. Antonio abate e siano state richieste, in un altro momento, anche al Luini, per affiancare l’immagine della Madonna dell’Aiuto, dai medesimi committenti. Non ci sarebbe da meravigliarsi, tenendo conto del fatto che erano i Porro a esercitare nel Cinquecento il proprio patrocinio sulla cappella di S. Antonio abate, ed è probabile che proprio loro abbiano commissionato le pitture di quella cappella, che oggi non possiamo più vedere; di più, i Porro avevano a che fare anche con la chiesa di S. Maria della Consolazione, e potrebbe essere che proprio loro abbiano chiesto al Luini (che realizzò qualche intervento pittorico per la famiglia Porro) di affrescarla con l’immagine della Vergine in trono con il corteggio dei medesimi santi che avevano fatto raffigurare nella cappella di S. Antonio della parrocchiale. Si tratta, naturalmente solo di una ipotesi: ma il ruolo dei Porro nel progetto di ornamentazione della cappella della Madonna dell’Aiuto, come abbiamo visto sopra per le immagini del beato Giovan Angelo e di S. Felice, è più che una semplice ipotesi. Così sembrerebbe almeno plausibile pensare che, una volta costretti a chiudere la chiesa di S. Maria della Consolazione, i Porro abbiano proposto il trasferimento degli affreschi del Luini nella nuova cappella della chiesa parrocchiale di Barlassina. Una simile eventualità potrebbe spiegare l’assenza, nell’affresco del Luini, dei santi Bernardo e Luguzzone, che pare fossero presenti nella cappella di S. Antonio abate, e soprattutto si accorderebbe con quanto sostenuto dalla tradizione orale e dalle attestazioni scritte ottocentesche che la corroborano.
LO STENDARDO
LO STENDARDO PROCESSIONALE
1742
Da qualche anno a questa parte nella cappella che si trova in fondo alla Chiesa, alla destra di chi entra, campeggia un bellissimo arazzo, con due facciate ricamate: si tratta dello stendardo processionale parrocchiale, restaurato di recente (2015), per iniziativa dell’Arciprete don Sandro Chiesa, dalle Monache benedettine dell’Abbazia “Mater Ecclesiae” che si trova nell’isola di S. Giulio, sul Lago d’Orta.
Cos’è uno stendardo? È un arazzo, in tessuto più o meno prezioso, sul quale sono raffigurate alcune immagini e che può essere esposto o trasportato in occasione di eventi pubblici, come una festa, una sfilata o una processione. È dunque un simbolo, una specie di preziosa bandiera, intorno alla quale si raccoglie una comunità. Il nostro stendardo parrocchiale simboleggia allora la nostra comunità, richiamandosi ad alcuni elementi che ne rappresentano i punti di riferimento, e in particolare alle figure dei suoi patroni.
a cura di ANTONIETTA PORRO
Il nostro stendardo è costituito da due facciate di seta, una rossa e una avorio, sulle quali le immagini sono realizzate a ricamo (in seta e in oro) e per dipinto; è corredato di frange laterali e cordoni con nappe, e di un’ampia frangia in basso.
Queste le immagini che vi sono rappresentate:
facciata A, di colore rosso : Giulio (in abiti da presbitero) e Giuliano suo fratello (che porta la dalmatica, abito liturgico proprio dei diaconi) adorano l’Eucarestia attorniata da S. Giulio ha le mani giunte e lo sguardo adorante; S. Giuliano ha una mano al petto, mentre l’altra, cadente sul fianco, regge un libro sacro. In basso, a sporgere dietro la figura di S. Giulio, è raffigurata la nostra Chiesa, secondo l’architettura successiva al restauro del 1892, come vedremo; sullo sfondo un paesaggio lacustre, probabilmente quello del lago d’Orta.
facciata B, di colore avorio : Maria, seduta sulle nubi, con Bambino; sopra di lei due angeli sostengono la corona. La Vergine tiene una cintura che tende a S. Agostino (il quale ne regge un lembo), in abito episcopale; il Bambino ne tiene un’altra che tende a Monica, madre di S. Agostino, la quale la stringe al seno. In basso a destra si vede il libro aperto delle Confessioni, che Agostino stava scrivendo, retto da un angelo, mentre un altro ha la penna d’oca per scrivere (a simboleggiare che l’opera è ispirata dal Cielo). In basso, per terra, pastorale e mitria, simboli dell’autorità episcopale di Agostino.
Simbolismo
Le immagini rappresentate sulla facciata A non hanno bisogno di molte interpretazioni.
La facciata B raffigura invece una forma del culto di Maria particolarmente cara all’ambiente agostiniano. Secondo una tradizione attestata da un apocrifo arabo di epoca già tarda, tre giorni dopo essere stata portata in cielo, Maria lasciò cadere la sua cintura all’apostolo Tommaso per rafforzarne la fede nella sua assunzione (l’apostolo ‘incredulo’ per antonomasia era assente anche quando la Santa Vergine fu assunta in cielo). I Cristiani d’Oriente venerano questa reliquia, a quanto attestano diversi inni bizantini, come «cintura di difesa della città», mentre in Occidente la devozione alla cintura è legata agli Eremitani di sant’Agostino, nella cui chiesa bolognese di san Giacomo maggiore nacque, nel 1439, la Confraternita detta ‘dei Cinturati’. Essa si riallacciava al racconto di una apparizione della Vergine a S. Monica, la quale avrebbe visto la Madonna indossare gli abiti neri (velo, tunica, cintura) del lutto per la morte del Figlio e sarebbe stata invitata ad assumere un abbigliamento analogo. Monica avrebbe poi consegnato al proprio figlio Agostino, attraverso S. Ambrogio dal quale dopo la conversione Agostino ricevette il battesimo, un’analoga cintura, che caratterizza, con il colore nero delle vesti, l’abito proprio della famiglia degli Agostiniani.
Una variante di questa tradizione, diffusasi a partire dal XVI secolo, si richiama invece a un episodio miracoloso riguardante S. Monica: quest’ultima, dopo la morte del marito Patrizio, si rivolse in preghiera a Maria, la quale le apparve vestita con abito e cintura nera (quello che avrebbe indossato dopo la morte dello sposo Giuseppe) e garantì a quanti l’avessero imitata la sua protezione e consolazione. Di qui il doppio appellativo di Madonna della Cintura e Madonna della Consolazione.
Storia
Alla ricerca di notizie sulle origini di questo sacro simbolo, ci siamo imbattuti in una interessante e dettagliata descrizione contenuta nel Chronicon parrocchiale e redatta dall’Arciprete don Angelo Giuseppe Meroni nel 1893, in occasione del primo restauro dello stendardo. Dalla cronaca di don Angelo deduciamo che il nostro stendardo ha oltre 275 anni di vita, essendo stato realizzato nel 1742 dal ricamatore Giovanni Antonio Gallo. In origine era il simbolo intorno al quale si riuniva la cosiddetta “Confraternita”, un’associazione di fedeli della parrocchia che si dedicavano con particolare impegno alla devozione religiosa e alle opere di carità. Nel 1893 fu sottoposto alla prima delle due operazioni di restauro che ha conosciuto nella propria storia; la seconda è quella, recentissima, del 2015.
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